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Nella Berther, eco di un’epoca.

Capita spesso, sfogliando le carte d’archivio, di imbattersi in storie che non solo raccontano un’epoca e un Paese, ma che descrivono una persona così intimamente da farci pensare di averla conosciuta.

È quello che succede leggendo le carte di Nella Berther, conservate in 85 fascicoli nell’Archivio per la storia dell’educazione in Italia.

Nella Berther seduta accanto a Eugenio d’Ors. Brescia, 23 aprile 1952

Nella nasce a Brescia il 2 novembre 1913 in un contesto famigliare brillante, il padre, Clateo, è ragioniere, la madre, Amelia Carugati, è insegnante. Durante gli anni della sua formazione conosce Antonia Pozzi – che dichiarerà di ammirare molto – Vittorio Sereni, Luciano Anceschi, Maria Corti. Figure che lasceranno il segno nella sua visione della vita e dell’insegnamento. Si laurea all’Università di Milano con Benvenuto Terracini discutendo una tesi sui dialetti della Valcamonica. Importante per Nella è il precoce legame, culturale e ancor prima etico, con la montagna, in particolare con la Valcamonica. Legame che affiora, oltre che nelle pagine diaristiche risalenti al 1929, nel romanzo Pan di segale, dove la presenza della montagna e della civiltà montana, nel suo contrasto con la vita cittadina, emerge (come nell’opera di Antonia Pozzi, cui soprattutto la poesia della Berther deve molto) in tutta la sua cifra materna e, più ampiamente, femminile.

 Il racconto narra la saga di una famiglia camuna sullo sfondo della storia d’Italia. La vicenda è collocata tra la fine dell’Ottocento e si dipana sino alle soglie della Seconda Guerra Mondiale. La narrazione offrì all’autrice lo spunto per approfondire un periodo storico e culturale, tra città e Valcamonica, negli anni decisivi dei grandi cambiamenti storici, economici sociali dell’età postunitaria e «Pan di segale» è ancora oggi considerato fra le opere bresciane più significative del Novecento.

Come poetessa pubblicò le sue migliori composizioni nel libro «Se la strada finisce», stampato a Padova da Rebellato nel 1972. I suoi diari inediti sono stati recentemente raccolti in un volume dalla Fondazione Civiltà Bresciana, a cura di Paola Napolitano. Nei testi appare la fisionomia di una donna cattolica, aperta al dialogo (nella Brescia, peraltro, percorsa dal rinnovamento culturale ed ecclesiale montiniano), antifascista, “scomoda” nel suo strenuo impegno pedagogico che (lascito ideale dell’insegnamento ricevuto presso l’ateneo milanese) andava oltre il nozionismo e si espandeva alla vita.

Nella Berther fu anche attiva nell’associazionismo cattolico cittadino. Insegnò per lunghi anni a Desenzano e a Brescia (al liceo «Arnaldo» e all’Istituto magistrale “Veronica Gambara”). Salì in cattedra anche all’Università Lunardi e fu presente in molti sodalizi culturali e organizzazioni cattoliche: consulente di note case editrici, presidente e consigliere del Circolo di cultura e del Soroptimist. Morì a Brescia, dopo lunga malattia, il 28 settembre del 1972, ma la sua impronta artistico-intellettuale resta indelebilmente impressa nella cultura bresciana.

Valentina Garagnani