Olga, un’eredità di tutti
La partecipazione delle donne alla lotta di Liberazione è stata per molti anni taciuta. Le fonti, invece, dimostrano che la presenza femminile nel moto resistenziale è stata fondamentale. Sono gli scritti di memoria, i diari, le storie di vita, le interviste, le opere che raccolgono le preziose fonti orali che documentano la storia delle donne che, a vario titolo, hanno partecipato alla Resistenza.
Tra le carte dell’Archivio storico della Resistenza bresciana e dell’Età contemporanea è custodita una lunga intervista a Severina Guerrini, la partigiana Olga, che ha raccontato, con lucidità e trasporto, la storia fatta dalle uniche vere volontarie della resistenza, in quanto non sottoposte ai bandi di reclutamento e in generale non obbligate alla fuga e al nascondimento, ma impegnate in ognuno dei compiti previsti dalla lotta di Liberazione.

Severina Guerrini è nata a Brescia il 5 luglio 1923. Durante la guerra lavora come impiegata presso l’Unione italiana ciechi e poi in uno studio notarile. All’inizio della resistenza è staffetta del Comando fiamme verdi di Brescia. Mantiene anche i collegamenti tra la città e la Valcamonica per la brigata fiamme verdi X giornate trasportando rifornimenti, armi, medicinali oltre alle notizie. Collabora anche con il CLN di Padova trasmettendo i messaggi per la special force in Svizzera. Con l’aiuto dei familiari prepara documenti e lasciapassare falsi. Collabora alla stampa e alla diffusione del giornale clandestino 5D (gruppo difesa dei diritti della donna) d’ispirazione cattolica. Dopo l’arresto e la deportazione in Germania del fratello viene fermata dalle SS, rilasciata e di nuovo ricercata. Si rifugia prima a Milano poi a Chiari e infine ad Adrara San Martino. Da quest’ultima località si mantiene in contatto con il gruppo fiamme verdi di Tarzan a Pontoglio e con i gruppi garibaldini di Sarnico. In seguito alla sua fuga i familiari sono arrestati il 15 febbraio 1945. Dopo la Liberazione lavora alle Acli come impiegata ed è tra le fondatrici del CIF di Brescia.

Secondo alcune stime le donne che hanno partecipato alla resistenza sono state settantamila, ma probabilmente sono molte di più. Tuttavia il loro ricordo è entrato solo recentemente nella storia ufficiale della resistenza italiana. Fino alla fine degli anni cinquanta, infatti, c’è stato una specie di silenzio generale sulla resistenza femminile. Questo perché si cercò di normalizzare il ruolo delle donne, che proprio durante la guerra avevano sperimentato un’emancipazione di fatto dai ruoli tradizionali. Nel primo dopoguerra uno degli pochi documentari sull’argomento fu quello di Liliana Cavani, Le donne nella resistenza del 1965 e il romanzo L’Agnese va a morire di Renata Viganò pubblicato nel 1949.
A partire dagli anni sessanta, con le lotte per l’autodeterminazione femminile e i cambiamenti profondi in corso nella società, si cominciò a rivendicare un ruolo per le donne che affondasse anche nella storia della repubblica e nella resistenza.
Nella maggior parte dei casi le partigiane hanno fatto le staffette: portavano cibo, armi, riviste, materiali di propaganda. Rischiavano la vita, torture e violenze sessuali. Ma non erano armate, quindi non si potevano difendere. Molte donne inoltre hanno avuto ruoli di protezione dei partigiani: li nascondevano, li curavano, portavano loro i viveri nei nascondigli, si preoccupavano della loro sopravvivenza. Altre, in numero minore, hanno partecipato direttamente alla lotta armata. Il problema è il tabù delle donne che esercitano la violenza, che ovviamente era molto forte in un contesto culturale tradizionalista come quello italiano. Riconoscere alle donne la possibilità di esercitare la violenza armata avrebbe significato riconoscere un’uguaglianza di genere. Tuttavia a partire degli anni novanta, le donne che hanno partecipato direttamente alla resistenza italiana, anche con ruoli di responsabilità, hanno cominciato a parlarne pubblicamente e, anche grazie al lavoro di molte storiche, a essere intervistate e a scrivere dei libri e delle memorie.
Valentina Garagnani