La Viganò viaggia a Mach 3
Non basta compulsare dall’esterno il catalogo di una biblioteca per rendersi conto dei tesori che vi si nascondono: bisogna sfogliare fisicamente i volumi per scoprire, per esempio, che una seconda edizione può valere talvolta ben più di una prima, se l’imprevedibilità della storia ci mette lo zampino. Se, come diceva Proust, l’edizione più preziosa non è che quella che tu stesso hai letto per prima, allora anche la seconda edizione del 1801 del Treatise of Fluxions (1742) dell’illustre newtoniano scozzese Colin Maclaurin (1698-1746) – segnatura in Viganò FA-8B-7, con titolo mutato in Treatise on Fluxions e aggiunta della biografia dell’Autore – può diventare un prezioso unicum, se ai piedi del frontespizio compare niente meno che l’ex libris di Ernst Mach.
Lo scienziato austriaco, noto soprattutto per l’omonimo Principio (fu Einstein a coniarne il nome), – per cui l’inerzia di un corpo dipende dalla sua interazione con tutto il resto dell’Universo, – nonché per il cosiddetto “Numero di Mach” (un’unità di misura fondamentale in aerodinamica, che indica il rapporto tra una velocità e la velocità del suono nel fluido considerato), lascerà il segno anche nella storia della filosofia (l’empiriocriticismo darà da riflettere tanto a Wittgenstein quanto al Circolo di Vienna), e addirittura in quella della letteratura (si pensi alla Lettera di Lord Chandos di von Hoffmannsthal, ma soprattutto a L’uomo senza qualità: Musil aveva dedicato a Mach la sua tesi di dottorato nel 1908), per non dire della storia politica: proprio in polemica con l’anti-atomismo di Mach, Lenin pubblicò Materialismo ed empiriocriticismo (1909), e pare che in Unione sovietica sia stato vietato per molti anni l’utilizzo della dicitura Mach-Zahl, oramai entrata nell’uso nell’aviazione. Ma non solo, a Mach è legato anche il nome di un cratere lunare.
Ma che ne è stato degli altri volumi della copiosa biblioteca personale del pensatore moravo? Ripercorrendone a ritroso le tracce, la storia ci mostra che a poco a poco sono confluiti insieme alle carte, alla corrispondenza e all’attrezzatura scientifica in un archivio del Deutsches Museum di Monaco di Baviera, ove tale lascito è stato digitalizzato ed è oggi visibile anche attraverso il sito del museo. Nel 1898, appena arrivato a Praga, il sessantenne Mach fu colpito da un ictus che gli lasciò parzialmente paralizzata una parte del corpo. Con l’avanzare dell’età, nel 1913, si trasferì a Vaterstetten, nei pressi di Monaco, per lavorare nella villa da poco costruita dal primogenito Ludwig, medico in grado di assistere il padre, anch’egli scienziato (a lui si deve il nome dell’interferometro Mach-Zehnder), quindi capace di allestire gli esperimenti ideati dal padre, che lì rimase fino alla morte, il 19 febbraio 1916. Quando anche Ludwig morì, nel 1951, la casa venne acquistata da due fratelli, Hans-Jürgen e Peter Ohlendorf, che permisero alla seconda moglie di Ludwig, Anna Karma Mach, di continuare a risiedere in un piano della casa, dove rimase anche il lascito scientifico dei Mach. Alla morte di Ludwig, la vedova Mach mise in vendita la biblioteca completa, ma non riuscendo a concludere la transazione proposta a rinomate istituzioni scientifiche, la collezione fu venduta in parte al noto antiquario di Monaco Theodor Ackermann, che espose i preziosi volumi appartenuti a Mach in due cataloghi, rispettivamente nel 1959 e nel 1960. I cataloghi comprendevano nel complesso 3400 titoli: il Deutsches Museum acquistò all’epoca solo otto opere del XVIII, XIX e XX secolo. Un inventario dei libri redatto nella casa privata di Mach negli anni ’50 aveva tuttavia catalogato altri 15.000 volumi, il che significa che – per motivi che non sono noti – soltanto una parte della collezione era approdata presso l’antiquario Ackermann. D’altronde la cosa è confermata anche dal fatto che la Eisenbibliothek – “biblioteca del ferro” – di Schlatt (Zurigo), Fondazione della Georg Fischer SA, gruppo siderurgico svizzero, nel settembre del 1955 (dunque tra la morte di Ludwig e l’incarico all’antiquario Ackermann nel 1959) aveva già acquistato dieci libri della “Mach-Bibliothek”. Di questi volumi di pregio fa parte, peraltro, la prima edizione del 1687 della Philosophiae naturalis principia mathematica di Newton.
Quando nel 1983 anche la vedova Mach venne a mancare, i fratelli Ohlendorf donarono il Nachlass rimanente, ancora in casa, al Philosophisches Archiv dell’università di Costanza, da dove passò infine al Deutsches Museum, che a partire dal 1998 acquisì a poco a poco la quasi completa eredità dello scienziato. Sarà lo studioso Helmut Hilz [Die Bibliothek Ernst Mach – Wege einer Sammlung, in: Licht und Schatten. Ernst Mach – Ludwig Mach. Hrsg. von Wilhelm Füßl und Johannes-Geert Hagmann. München: Deutsches Museum 2017, S. 57-65] a ripercorrere il destino della collezione di libri dello scienziato e a renderlo noto al pubblico.
La vasta biblioteca di Mach – alcuni ritratti lo mostrano seduto davanti alle sue scaffalature di libri – sembra dunque essere rimasta intatta solo fino alla morte di Ludwig nel 1951, al quale il padre l’aveva già lasciata nel 1906. È dunque al Deutsches Museum di Monaco che si deve rivolgere chi intenda consultare il Nachlass completo di Ernst (e Ludwig) Mach, ora conservato in un ampio archivio diretto da Wilhelm Füßl, che comprende oltre 2500 lettere, strumenti scientifici, lastre di vetro, fotografie e disegni, nonché, da ultimo, una cartolina conservata dai fratelli Ohlendorf fino al giorno dell’inaugurazione della mostra Licht und Schatten dedicata alla collezione Mach nel 2016 per il centenario della morte, spedita a Ernst Mach nell’agosto del 1909 da un adorante discepolo trentenne («Ihr verehrender Schüler»): Albert Einstein.
Ingrid Basso