“La farfallina volerà” – storia di un riscatto al Grande di Brescia: atto primo
Il 29 novembre del 1924, esattamente cent’anni or sono, scompariva il Maestro Giacomo Puccini. La biblioteca di Brescia, dove è allestita una piccola esposizione bibliografica in suo onore, vuole ricordarlo con un racconto che si svolge in un momento preciso della sua esistenza, durante il quale la città di Brescia giocò un ruolo particolarmente rilevante:
Nel grigiore sospeso della Milano di inizio Novecento, tra i tetti di palazzi imbevuti di nebbia, regna ancora sovrana la quiete, una quiete dalle note sinistre. Le campane del mattino, ignare di quel che il futuro riserba a chi udirà il loro canto sordo, continuano a riecheggiare nel cielo terso un ritmo senza melodia, scandendo, in tal modo, il tempo di chi, seduto allo scrittoio, sta imprimendo nel foglio da lettera un messaggio intriso di gratitudine e buone speranze. “Giacomo Puccini”, si legge in fondo. Questo recita la firma posta a sigillo di una missiva scritta col fervore e la fiducia di chi, in cuor suo, percepisce l’approssimarsi di una circostanza felice:
A Rosina Storchio
S.G.M.
Cara Rosina
È inutile il mio augurio!
È così vera, delicata, impressionante la sua grande arte che certo il pubblico ne sarà soggiogato!
E io, spero, per mezzo suo correre alla vittoria!
A stasera dunque con animo sicuro —
con tanto affetto, carissima,
tutto suo
Giacomo Puccini
17.02.1904
17 febbraio 1904, il giorno del giudizio: tra una manciata di ore andrà in scena la tanto attesa prima della Madama Butterfly. Alla Scala, di fronte a infinite schiere di spettatori pronti a riversare i loro verdetti su tutto e su tutti, senza filtro alcuno: d’altronde il teatro è questo, si sa, fin dai tempi di Eschilo l’eleusino.
La lettera, come si conviene, andrà consegnata di persona alla speciale destinataria, che risponde al nome di Rosina Storchio: colei che, con oriental delicatezza, dominerà la scena vestendo i panni di Cio-Cio-San e che poi, per dover di trama, poserà le sue membra esanimi sulle assi del palco, freddo giaciglio. Lei, elegantissima soprano, che sette anni prima, nella sua amata Venezia, era stata Mimì per La Bohème di Leoncavallo. Lei, a cui oggi è diretta un’altra missiva, questa volta firmata, oltre che dal compositore, anche dai librettisti, con tanto di sentito augurio:
A Rosina Storchio
Oggi 17 Febbrajo 1904
Cara Butterfly.
Noi fummo costretti a farvi morire in scena, ma voi coll’arte profonda e squisita farete vivere l’opera nostra.
Giacomo Puccini
Giuseppe Giacosa
L. Illica
I sintomi sommessi di una simbolica risurrezione, insomma, sono già presenti nel soggetto dell’opera e la rivincita è un affare connaturato.
Viene la sera, le luci si offuscano fino a spengersi nel buio di via Filodrammatici. S’accendono invece dentro, dove tra i palchi e il loggione del Nuovo Regio Ducal Teatro alla Scala si assiepano i paganti, tra sibili e sussulti, in trepidante attesa che si disveli il sipario e lasci filtrare le voci e le emozioni che attendevano rinchiuse nel petto degli esecutori. E le emozioni filtrano, eccome se filtrano, ma non soltanto quelle degli interpreti. Ben presto infatti, nel baccano generale, il pubblico si lascia andare alle reazioni più primordiali, in barba all’etichetta e a qualsivoglia parvenza di contegno, in quella che, nelle parole dell’editore Giulio Ricordi, presente in sala, è a tutti gli effetti un’accoglienza gretta e barbara:
Grugniti, boati, muggiti, risa, barriti, sghignazzate, i soliti gridi solitari di ‘bis’ fatti apposta per eccitare ancora più gli spettatori, ecco, sinteticamente, quale è l’accoglienza che il pubblico della Scala fa al nuovo lavoro del maestro Giacomo Puccini. Dopo questo pandemonio, durante il quale pressoché nulla fu possibile udire, il pubblico lascia il teatro contento come una pasqua! E mai si videro tanti visi allegri, e gioiosamente soddisfatti come di un trionfo collettivo.
Insomma, una vera débâcle, a cui segue, quasi istintivo, un gesto perentorio, una presa di posizione che apre una ferita insanabile tra Puccini e la Scala, tanto che in sua presenza nessuna delle successive première si sarebbe più tenuta in tale cornice:
17 Febbrajo 1904
Alla onorevole Direzione del Teatro alla Scala
Milano
L’accoglienza che il pubblico della Scala ha fatto alla nuova opera “Madama Butterfly” ha chiaramente provato ch’esso non ha trovato degno di qualsiasi approvazione il nostro lavoro.
Noi quindi ritiriamo lo spartito, di pieno accordo coll’editore e protestiamo perché sia sospesa ogni ulteriore rappresentazione.
Giacomo Puccini
Luigi Illica
Giuseppe Giacosa
Eppure, nulla è perduto: malgrado le miopi bastonate della critica e i titoloni sensazionalistici delle testate nazionali, Giacomo Puccini nutre un affetto senza pari per la sua creatura, un attaccamento che genera desiderio di rivalsa. All’indomani dello smacco, nel resoconto al vetriolo indirizzato all’amico Camillo Bondi, le parole del Maestro riflettono a pieno questa gamma di sensazioni contrastanti:
Milano, 18 febbraio 1904
Mio caro Camillo,
con animo triste ma forte ti dico che fu un vero linciaggio! Non ascoltarono una nota quei cannibali. Che orrenda orgia di forsennati, briachi d’odio! Ma la mia «Butterfly» rimane qual è: l’opera più sentita e più suggestiva ch’io abbia concepito! E avrò la rivincita, vedrai, se la darò in un ambiente meno vasto e meno saturo di odi e di passioni. […]
Un ambiente più intimo, dunque, che possa conciliare nel pubblico una maggiore propensione all’ascolto e alla riflessione. Che questo ambiente possa essere la Torino degli esordi? O forse la “wagneriana” Bologna? E se invece si trattasse della Leonessa d’Italia, quella Brescia dove già trionfarono Edgar (1892) e Manon Lescaut (1893)?
Continua…
Giuseppe Cosio