Scienza e poesia: l’Eco di Archimede e le Muse di Alessandro afrodisiense
Quando si tratta di libro antico, la tendenza, ormai, è sempre di più quella di concentrarsi sull’oggetto e meno sull’opera che tramanda. D’altro canto, come un fiume in piena, la digitalizzazione “selvaggia” dei testi ha fatto sì che le opere si rendessero disponibili, in tempo reale, da una parte all’altra del globo e il reperimento delle stesse divenisse gioco facile (e comodo).
L’oggetto, al contrario, è unico e, come un dipinto fiammingo trafugato durante la Seconda guerra mondiale, porta su di sé i segni del tempo e delle vicende che lo hanno, in fine, condotto a noi. Molto spesso porta il nome di chi precedentemente l’ha posseduto o qualche annotazione di chi, in mancanza di altri supporti, lo ha utilizzato come un block notes ante litteram. Talvolta anche i materiali e i supporti ci parlano e le legature, per esempio, ci raccontano di principi, cardinali, marchesi, duchi, o più semplicemente, facoltosi collezionisti che amavano fare sfoggio delle proprie armi impresse su coperte di pergamena o di pregiata pelle, come simbolo del loro status sociale.
Altre volte sono le curiosità a catturare la nostra attenzione: piccole perle di bellezza e rarità che le pagine dei libri ci restituiscono sotto forma di inaspettato dono, mentre le sfogliamo avidamente alla ricerca di una citazione o di un’immagine.
Scorrendo le carte delle Opere di Archimede, curate dal matematico bresciano Nicolò Tartaglia, e stampate a Venezia nel 1543 da Venturino Ruffinelli (anche lui bresciano di origine), nell’esemplare conservato nella Biblioteca di Storia delle Scienze «Carlo Viganò» (FA 5B 38), ci si imbatte (carta I4v) in un carme latino manoscritto di mano anonima, quasi certamente coeva all’opera. Il titolo, Gauradae poetae greci carmen et Eccho, suggerisce poco, ma incuriosisce molto, e facendo qualche ricerca si capisce immediatamente il perché. Un alone di mistero, infatti, aleggia intorno alla figura di Gauradas, poeta greco conosciuto solo ed esclusivamente per il carme in questione. Raccolto all’interno dell’Antologia greca, trasmessa dall’Antologia palatina e dall’Antologia Planudea, era, tuttavia, piuttosto noto in ambiente umanistico poiché Angelo Poliziano lo citava, con annesso componimento, nel XXII capitolo della sua Miscellaneorum centuria prima (Firenze, Antonio di Bartolommeo Miscomini, 1489) e ne proponeva una sua traduzione interpretativa, in volgare, in appendice alle Stanze nel 1494 (Bologna, Francesco Platone de Benedetti, 1494).
Ecco il testo:
Gauradae poetae greci carmen et Eccho
Echo chara mihi assona aliquid – Quid
Amo puella(m), illa vero me non amat – Amat
Faciendi vero tempus occasione(m) no(n) patitur – Patitur
Tu ig(itu)r ipsi dic quod amo – Dicam [Amo]
Et fide(m) ipsi pecuniar(um) tu da – Tu da
Echo quid reliquu(m)? An voto potiri? – Potiri
e la traduzione di Poliziano
Che fai tu, Eco, mentr’io ti chiamo? – Amo.
Ami tu dua o pur un solo? – Un solo.
Et io te sola e non altri amo – Altri amo.
Dunque non ami tu un solo? – Un solo.
Questo è un dirmi: Io non t’amo – Io non t’amo.
Quel che tu ami ami tu solo? – Solo.
Chi t’ha levata dal mio amore? – Amore.
Che fa quello a chi porti amore? – Ah more!
I commenti di Alessandro di Afrodisia alle Opere di Aristotele, stampati a Venezia da Girolamo Scoto tra il 1549 e il 1560 (rilegati nell’unico volume Viganò FA 5A 7), ci riservano invece altre sorprese. Il volume appartenne a un altrettanto misterioso poeta, attivo verso la seconda metà del XVI secolo: Nicolò Chiocco Calvo (o de Calvi). Nella parte alta del frontespizio, appena sopra il titolo, compare la nota manoscritta: «Speravi et non confundar. Nicolaj Clocci Calvi et amicorum».
Anche in questo caso si conosce molto poco circa il personaggio: nato a Verona intorno al 1523 fu, nel 1549, allievo del maestro e grammatico veronese Matteo dal Bue (o dal Bo) e dal 1555 suo repetitor. Un’intera raccolta di componimenti poetici di sua mano è segnalata, nel 1892, nel Catalogo descrittivo dei manoscritti della Biblioteca comunale di Verona di Giuseppe Biadego (ms. 273), mentre un suo carme si trova nel ms. 1130 dell’Archivio del Sacro Eremo di Camaldoli (Nicolai Calvi Chiocchi Veronensis ad Bened. Venerium). Diverse sue poesie sono presenti nel ms. 420 della fu Raccolta di Giovanni e Giulio Saibante, oggi non più rintracciabile, in quanto la biblioteca privata dei due aristocratici veronesi, dopo essere confluita nella collezione del marchese Paolino Gianfilippi, andò all’incanto con questa, nel 1843, a Parigi. Alcuni suoi versi in morte del fine letterato salodiano Giovanni Andrea Ugoni si rintracciano, inoltre, nel ms. Magl. VII 1381 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Nel 1561, insieme a importanti personalità del tempo come Torquato Tasso, Paolo Giovio, Benedetto Varchi, Giovan Battista Giraldi Cinzio, fu tra i poeti che commemorarono la poetessa e pittrice Irene di Spilimbergo con le Rime di diversi nobilissimi, et eccellentissimi autori in morte della Signora Irene delle Signore di Spilimbergo, pubblicate a Venezia nel 1561 presso Domenico e Giovan Battista Guerra. Nel 1584 scrisse un sonetto «in lode del Museo di M. Francesco Calzolari alla Campana d’oro», pubblicato in quell’anno nel De reconditis, et praecipuis collectaneis ab honestissimo, et solertiss.mo Francisco Calceolario Veronensi in musaeo adseruatis da Giovanni Battista Oliva. Secondo Scipione Maffei fu il Chiocco Calvo, nel 1551, a pronunciare pubblicamente l’orazione funebre del noto medico e umanista veronese Giovanni Battista Monte.
Nel verso della carta di guardia anteriore del nostro volume, si può leggere un carme in onore delle Muse, eccone il testo:
Ad musas Nicolaj Clocci Calvi votivum carmen
Difficiles aditus Logices, salsusq(ue) malignos
Dum Calvus superat dogmata vestra sequens
Mascula thura sacris, quę ad nos misere sabei
Littoribus rubris, adolet ipse focis
Vos faciles nimphae nemorum secreta colentes
Aoniae rupis chara jovis soboles
Quęcumque ille petit sanctu(m) sibi nume(n) adorans
Annuite, et ratas efficite esse preces
Obliquos calles non sane indebita poscit
Angustasq(ue) artas vos reserare vias
Alcuni altri libri appartenuti al Chiocco Calvi, con la sua nota di possesso manoscritta e/o il suo motto, si possono trovare nella Biblioteca alle Stimmate di Verona (Primasii Vticensis in Africa episcopi, in omnes D. Pauli epistolas commnetarij perbreues ac docti, ante annos mille ab autore editi, Lione, Sebastian Gryphe, 1537 – 7.A.6); nella Biblioteca del Seminario Vescovile di Padova (Claudii Ptolemaei Cosmographia, Ulm, Johann Reger, per Justus de Albano, 1486 – Forc. L.1.10); nella Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia (Oppianou [di Anazarbo] Hlieutikon biblia pente. Tou autou Kynēgetikōn biblia tessara; Oppiani De piscibus libri V; Oppiani De piscibus Laurentio Lippio interprete libri V; Oppiani [di Apamea] De venatione libri IV, Venezia, eredi di Aldo Manuzio il vecchio e Andrea Torresano, 1517 – 390 D 255); nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (Pindarou Olympia, Pythia, Nemea, Isthmia…, Roma, Cornelio Benigno per Zaccaria Calliergi, 1515 – 20.Z.3.200); nella Biblioteca comunale di Ala (Aristotelis Logica, Lione, Guillaume Rouillé, 1570 – T.D.95).
Appare evidente, da questa breve carrellata, come tra gli interessi del poeta veronese vi fossero anche argomenti e autori non solamente letterari: Aristotele con Alessandro d’Afrodisia, Tolomeo, i trattati sui pesci e sulla caccia dei due omonimi Oppiani. Forse anche lui, come Carlo Viganò, si acquietava nei suoi dolci studi…scientifici!
Diego Cancrini