Per le “Raccolte Storiche” il primo vocabolario bresciano
Nel 1759, i seminaristi del seminario vescovile di Brescia, coadiuvati dal rettore Bartolomeo Pellizzari, pubblicavano, per i tipi bresciani di Pietro Pianta, il Vocabolario Bresciano e Toscano compilato per facilitare a’ Bresciani col mezzo della materna loro lingua il ritrovamento de’ vocaboli Modi di dire e Proverbj Toscani a quella corrispondenti, opera che, a tutti gli effetti, è da considerarsi il primo vocabolario bresciano (fig. 1).
Il Centro di Ricerca e Documentazione “Raccolte Storiche” ha recentemente avuto l’occasione di acquistare, sul mercato antiquario, un bell’esemplare di questo vocabolario “nostrano” (fig. 2).
Ispirati dalla Lezione intorno alle origini ed ad alcuni modi di dire della lingua bresciana, pubblicata dal canonico bresciano e accademico della crusca Paolo Gagliardi nel 1739 (la lezione compare infatti riproposta in apertura del vocabolario) e mossi dalle ricerche lessicografiche tra la fine del sec. XVII e gli inizi del XVIII, che facevano capo, se fosse necessario specificarlo, all’Accademia della Crusca, gli autori si cimentarono nella raccolta di vocaboli ed espressioni bresciane significative e nella creazione di un legame con il loro corrispettivo toscano. Dal Gagliardi e dalla Crusca seppero però prendere anche le distanze laddove lo ritennero necessario: in particolare si dissociarono dal “campanilismo linguistico” dell’accademico cruscante bresciano e dalla mancanza, nella Crusca, di un lessico specifico delle arti e dei mestieri e degli usi quotidiani che indusse gli autori a rivolgere la loro indagine ad autori estranei al canone.
Nel vocabolario è possibile dunque ritrovare lemmi ed espressioni di uso corrente, ancora oggi, nel dialetto bresciano, affiancati dal loro corrispettivo toscano, e, talvolta, da una spiegazione. Ecco alcuni esempi:
A bòt | In cottimo, in somma |
Amenamà | Da qui a poco |
Andà ‘n bestiá | Dar nelle scartate. Dar nelle furie. Indiavolare |
Baligordó | Scotomia. Vertigine teneborsa con difficoltà di reggersi in piedi |
Bárba | Oste, taverniere… |
Deleguà del cald | Stillare del caldo. Dicesi del patir soverchio calore |
Dágha fóra | Rimettere in buona |
Fômna | Femmina |
Formentó | Grano turco |
Gaiòfa | Scarsella, tasca |
Gregnápola | Nottola, e nottolo, pipistrello, e vispistrello. Animal volatile, notturno, di mezzana spezie trà uccello, e topo |
Malmostóz | Schizzinoso, stiticuzzo, ritroso, salvatico |
Mat de ligà | Matto spolpato, pazzo a bandiera, pazzo da catena |
Mèter i pe ‘n fal | Fare un passo falso. Si dice figuratam. di chi piglia male le misure in far qualche negozio |
Dila nèta, e tônda | Dire al pan pane, vale favellar come l’uomo la intende senza alcun rispetto |
Pastolòt | Piastriccio. Mescuglio fatto confusamente, e alla peggio. |
Pedersèm | Pretosemolo, pretesemolo, prezzemolo. Erba nota |
Sbadacià | Sbadigliare, sbavigliare. Aprir la bocca raccogliendo il fiato, e poscia mandandolo fuora, ed è effetto cagionato da sonno, da rincrescimento o da negligenza |
Slambrotáda | Chiucchiurlaja. Discorso poco ordinato, e non conchiudente |
Sporcamestér | Ciarpiere. Si dice di colui, che ponga le mani in tutte le cose, ma tutte le faccia male |
Talamôra | Ragna, tela-ragna. La tela del ragno |
Zontághen nel parlà | Mettere di bocca. Dire in favellando, più che non è. |
Il Vocabolario è poi accompagnato da un Indice toscano e bresciano (da p. 403), la decisione della cui aggiunta fu presa, secondo la tradizione, a seguito del verificarsi di due curiosi episodi (fig. 3).
Il primo vede come protagonista uno zelante chierico napoletano trasferitosi a Brescia, il quale, volendo adoperarsi immediatamente nella pratica delle confessioni, si trovò fin da subito in difficoltà, non essendo in grado di intendere numerosi vocaboli ed espressioni che i confessanti utilizzavano e per questo motivo si vide costretto, tra l’ilarità dei suoi confratelli, a compilare una lista dei vocaboli più sentiti, al fine di chiederne il significato e poter comprendere finalmente appieno le confessioni.
Il secondo episodio, invece, riguarda un “buon cristianello di Valtrompia” che, intrapreso un pellegrinaggio verso Roma, si trovò impedito da una malattia in terra toscana, ospite presso l’Ospedale di Firenze. Qui ricoverato, non comprendeva una sola parola della lingua parlata dai medici che lo stavano curando e solo all’udire le domande di un giovane medico bresciano che stava facendo pratica a Firenze, interrogarlo “alla bresciana”, riuscì a tranquillizzarsi, ringraziando quindi Dio con una folkloristica espressione dialettale:
«Sia rengraziat ol Siór, che ho trovat jú a què, che parla crestià»
L’esemplare recentemente acquisito dalle “Raccolte Storiche” presenta nel frontespizio due note di possesso manoscritte che permettono di collocarlo nelle biblioteche di due precedenti possessori (fig. 4): il primo è il frate minore riformato bergamasco Bonagrazia da Cologno (sec. XVIII) e il secondo Giovanni Battista Imberti (1880-1955), forse l’imprenditore piemontese già podestà di Cuneo (1927-1938) e Deputato del Regno d’Italia nel gruppo di Giolitti (1919), poi Senatore tra le file, prima del Gruppo Popolare (1921), e infine del Partito Nazionale Fascista (1924).
Diego Cancrini